Nell’intervista di oggi le parole del fotografo e curatore, artista, nonchè amico 🙂 Massimiliano Boschini, che ringrazio per la consueta disponibilità e la capacità di trattare ogni argomento con l’attenzione che merita. Trovo il contributo di Max davvero molto interessante. Buona lettura.
Volendo raccontare cosa ti ha avvicinato alla fotografia, quale momento, persona o immagine ti viene in mente?
Con tutti i limiti del caso, credo che i circoli fotografici siano molto importanti, soprattutto ai confini dell’impero come può essere il paese dove vivo. Ricordo che un mio concittadino, Loris Franzini, venne un pomeriggio a casa mia chiedendomi se potevo dargli una mano per la creazione di un circolo a Marmirolo. Naturalmente accettai più che volentieri. Di tempo ne è passato e un paio di anni fa il gruppo fotografico “La Ghiacciaia” ha festeggiato il decennale. Fino a quel momento non avevo mai pensato di prendere in mano una fotocamera. Questo acuisce il mio rammarico, per non averci pensato prima e magari aver indirizzato gli studi scolastici verso questo interesse. Per cui la risposta è una persona.
Ti ricordi quale macchina fotografica hai utilizzato per i tuoi primi scatti?
Certo. Era una Canon Eos 30, che acquistai in un negozio di Mantova che oggi non esiste più. Subito dopo mi innamorai della bassa definizione e comprai compulsivamente fotocamere russe, giocattolo, di plastica e alcuni feticci com e le Minox o le Olympus “ovetto”. Oggi ho circa un centinaio di fotocamere, anche se alla fine quelle che che utilizzo più spesso si contano sulle dita di una mano. Sono diventato pigro. Anzi, lo sono sempre stato ma il tempo ha peggiorato questo difetto. La “scimmia” del collezionismo fotografico non mi è passata ma compro con più parsimonia, e solo cose che mi incuriosiscono molto.
Che cosa è, per te, la fotografia?
Faccio una premessa. Penso che la fotografia sia come la musica, e che siano possibili molteplici declinazioni: jazz, rock, blues, classica, pop e molto altro. Allo stesso modo possiamo parlare di reportage, naturalistica, di moda e via di seguito. Ecco, credo che ognuno abbia nelle proprie corde una ben determinata inclinazione e che non è giusto snaturarsi per rincorrere il tutto. Diffido dei tuttologhi. Per questo ho sempre seguito le mie inclinazioni, anche a discapito del gusto medio. Odio la parola “bello” e la abolirei dal dizionario. Tornando alla tua domanda, la fotografia per me è lo strumento che più spesso utilizzo per esternare ciò che sono e che voglio raccontare. Ma non è il solo, perché in passato ho fatto altrettanto con installazioni, per mezzo della parola scritta, ma anche con poster, cartoline postali o gif animate.
Che tipo di approccio hai al “lavoro fotografico”? Hai una visione legata alla realtà progettuale, all’idea del valore della singola foto, ad un stile omogeneo, vario…
E’ fondamentale che ogni scatto non sia fine a se stesso. Non mi vedrai mai girare “a caso” con la fotocamera al collo. Mi piace pensare e progettare, ma altrettanto interesse ha la fase di post produzione. Un tempo, quando l’analogico era l’unica pratica possibile, l’attesa e la scoperta della fotografia che “nasceva” dal negativo era emozionante e sempre fonte di patemi: nulla era mai come lo avevi immaginato. Sono della vecchia guardia, ogni scatto è ponderato e pensato. Non mi sono ancora abituato alle raffiche 😉
Se posso permettermi un ritorno alla domanda di prima e al concetto di “bello”, non bramo di certo la foto bella ma preferisco generare nell’osservatore angoscia, mal di pancia e pensieri più vicini al nero che al rosa.
Conosci il mondo della stock photography? Cosa ne pensi?
Prenderesti in considerazione l’idea di collaborare con Shutterstock come fotografo?
Certo, io stesso sono cliente di Shutterstock, con soddisfazione. E’ uno strumento a cui faticherei a rinunciare, perchè come ho specificato prima non ho nelle corde lo still life e preferisco affidarmi ai professionisti del settore per alcune cose. Ad ognuno il suo genere. Per cui aver appreso della svolta autoriale di Shutterstock mi intriga, perchè vorrei a breve mandare anche qualcosa di mio.
Esponi i tuoi progetti in mezzo mondo.
Che idea ti sei fatto della fotografia autoriale? Che cosa è per te l’idea di “progetto fotografico”? E quale lo sforzo che un fotografo, oggi, deve affrontare per ottenere questi risultati?
In parte si ricollega a quanto detto sopra. L’autore deve avere un progetto, un messaggio, un fine. Forse la mia è presunzione, ma il fotografo autoriale non può limitarsi a mettere a fuoco e per poi scattare. Non è un caso che i miei ultimi due progetti siano collegati a due libri che ho molto amato: “1984” di Orwell e “La scimmia e l’essenza” di Huxley. Il contenuto e il messaggio sono la prima cosa a cui penso, poi vengono tante altre “cosette” a cui non so rinunciare. Mi piace pensare all’idea del trickster, il briccone della mitologia, Ermete fra i greci, Loki tra gli scandinavi, il Coyote, il Corvo e il Coniglio dei Nativi americani. Per questo trovo più soddisfazione nel creare scompiglio che nell’accontentare l’occhio. Molti mi chiedono come sia riuscito in questi anni ad esporre in così tanti luoghi, anche diversissimi tra loro. Non credo ci sia una regola aurea, ma di certo imporsi progettualità e cura dei dettagli può aiutare molto. All’estero apprezzano ancora gli artisti italiani e sono dell’idea che non è necessario uniformarsi del tutto per trovare spazio e accoglienza altrove. Ho rinunciato alla mia città, Mantova, da molto tempo. Colpa mia, non voglio fare il saccente o il presuntuoso, ma se non altro c’è chi mi apprezza.
Quali sono le esperienze che ti hanno dato maggiore soddisfazione da quando ti occupi di fotografia?
Paradossalmente sono quelle che toccano la fotografia solo marginalmente. In questi anni mi sono cimentato anche nel poster design, con risultati sorprendenti, in termini di apprezzamento e premi. Questo mi lusinga, perchè mi porta a dire che talvolta non è il mezzo o lo strumento a renderci fotografi od artisti, ma ciò che diciamo e in che forma lo esplichiamo. Anche le partecipazioni a festival più performativi e meno legati al mondo dell’immagine è sempre stata interessante. Porto ad esempio la Biennale dell’Assurdo di Castelvetro, o lo “Schiume” di Venezia: ti fanno sentire bene, parte di un meccanismo più grande e che non si limita alla mera esposizione di fotografie.
Un argomento che senti trattare nel “mondo della fotografia” che ha ormai annoiato è:
sono abbastanza tediato da tutto l’argomentare che si fa attorno agli strumenti per fotografare. Analogico, digitale, ma anche smartphone contro reflex, basta. Non brillo certo di originalità nell’affermare che non è il mezzo a fare il fotografo e anzi, mi rendo conto solo ora che sto contribuendo pure io ad aumentare la fuffa che ruota attorno all’argomento. Vorrei avere soldi e tempo per provare qualsiasi “macinino” fotografico costruito fino ad oggi, senza pregiudizi e inibizioni: sarebbe fantastico.
Un fotografo che significa qualcosa per te? (e perchè)
Questa è facile. Bruno Vidoni è il mio idolo personale. Fotografava il reale e lo rendeva irreale e viceversa. Un autentico trickster, capace di trascendere il luogo. Le sue burle sono entrate nella storia della fotografia e invito tutti ad approfondire l’argomento. Un plauso va all’editore Sometti, mio concittadino, che ha recentemente dato alle stampe un libro a lui dedicato. Ecco, credo che ti avrei risposto la stessa cosa anche se tu mi avessi chiesto “Chi vorresti essere?”. Anzi, IO SONO BRUNO VIDONI! In qualità di Bruno Vidoni, ti rispondo invece che ho un debole per Roger Walker. Anzi, IO SONO ROGER WALKER. Avrai capito come il tema della veridicità mi stia molto a cuore…
Su che cosa, secondo il tuo punto di vista e le tue esperienze, si potrebbe puntare di più, e meglio, per valorizzare la fotografia oggi?
E’ sempre difficile uscire dagli schemi, ma sarebbe bello ci fossero meno pregiudizi nei confronti di chi non vuole o non può farsi etichettare in uno stile o in un genere. Attenzione, non sono favorevole ai tuttologhi, non sto dicendo questo. Il mio faro è puntato verso chi non accetta ibridazioni e contaminazioni, ma anche verso le mode che spesso contagiano anche chi fotografa. Non ti è mai capitato di aprire riviste diverse, anche di approfondimento, e di renderti conto di come la parte fotografica fosse molto simile? Diciamo che lo stile Vice ha fatto scuola.
Su quali progetti/idee stai lavorando? La passione per l’idea fotografica e lo scatto è rimasta intatta, cambiata, si è evoluta nel tempo? Ci si può stancare della fotografia?
Avrai capito dalle risposte precedenti che non mi sono mai considerato un fotografo tout court, ma un Giano bifronte con molteplici approcci ed interessi. Da un paio di anni a questa parte fotografo molto meno, ma ho intrapreso un percorso da curatore, che mi sta dando soddisfazione e mi ha portato a comprendere alcune cose che prima mi sfuggivano. La più eclatante, forse banale, è che spesso si delega ad altri la parte installativa, con il risultato di esposizioni o mostre, magari collettive, in cui si espongono fotografie della stessa misura, nella stesa cornice, con il medesimo passe-partout. Perchè non “controllare” anche quell’aspetto, considerandolo un elemento importante della propria cifra stilistica al pari dello sviluppo o della stampa?
Grazie Max!